Differenza tra un segnale video nativo e in streaming nei visori VR
Non volevo fare un articolo che trattasse questo argomento, perchè nel 2024 pensavo che la differenza tra un segnale video nativo e uno compresso (comunemente detto in streaming) fosse ormai chiara. Però molte vostre domande nelle ultime settimane mi hanno fatto venire qualche dubbio. Mi avete chiesto per esempio, se il Quest 3 può essere collegato direttamente alla display port della scheda video tramite un adattatore. Oppure se Virtual Desktop può essere utilizzato con un visore cablato. Mi avete addirittura domandato cosa vuol dire quando dico “si vede la compressione”. Insomma, quando si parla di segnale video compresso o meno, nel caso dei visori VR, c’è ancora parecchia confusione… E con questo articolo cerco di fare un po’ di chiarezza nella maniera più semplice possibile.
Prima di parlare di visori, vediamo il concetto di compressione video in un ambiente sicuramente più familiare come quello della visione domestica di film. La stragrande maggioranza di voi a casa guarderà i film dalle più comuni piattaforme di streaming come Netflix e Amazon Prime. I film in questo caso non sono fisicamente a casa nostra, ma sono contenuti in server dispersi chissà dove, e ci vengono trasmessi tramite una connessione internet. Siccome un film in 4K può pesare svariate decine di GB, per motivi di tempo e di spazio, non ci viene inviato direttamente, ma viene ridotto in tanti piccoli pacchettini di dati, che vengono codificati, inviati tramite la rete, e poi decodificati dall’applicazione installata nel PC, nella TV o nello smartphone. Questi dispositivi devono possedere al loro interno un chip che è in grado ovviamente di decodificare il segnale. Per raggiungere il maggior numero di persone, anche chi non dispone di connessioni molto veloci, i dati devono essere compressi, ridotti quindi, per poter arrivare senza interruzioni.
Immaginate un tubo che deve trasportare acqua da un acquedotto a casa vostra, che in un punto preciso deve per forza restringersi. Ecco, il punto più stretto del tubo, nel caso delle piattaforme di streaming video, è dato dalla velocità della nostra connessione ad internet. Tenetevi in mente questo concetto, perchè lo riprenderemo dopo parlando dei visori. Prima della diffusione di Netflix e compagnia bella, per vedere un film a casa serviva un lettore DVD o Blu-Ray da collegare tramite un cavo video, di solito HDMI, alla TV. Probabilmente qualcuno di voi avrà ancora un bel lettore Blu-Ray a casa, magari 4K, perchè solo così è possibile vedere un film alla massima qualità, senza cioè la compressione. La compressione infatti riduce la qualità, rende l’immagine più sgranata, fa perdere alcuni dettagli più piccoli, riesce a riprodurre una gamma di colori inferiore. Tutte cose che comunque, con le più moderne tecniche di codifica, risultano ormai invisibili nei film, se non solo con l’occhio attento di un super appassionato.
In tutto questo discorso quindi, cosa c’entrano i visori? C’entrano perchè il metodo più semplice per capire la differenza tra un flusso video nativo e uno in streaming nei visori, è proprio quello di paragonarli ai metodi di fruizione domestici dei film. Un visore cablato è come un lettore Blu-Ray, un visore in streaming è come Netflix. I visori col cavo infatti si collegano direttamente all’uscita video del nostro PC: il segnale video quindi arriva ai display del visore pulito, senza compressione, con risoluzione e framerate limitati solo dalla banda supportata dallo standard video Display Port o HDMI. Nei visori in streaming invece, il nostro PC deve lavorare come un server di Netflix: deve elaborare il segnale video, comprimerlo, ed inviarlo al visore. A sua volta il visore deve fare la parte della smart TV, deve quindi avere al suo interno un chip che riesce a decodificare il segnale video compresso, e farlo apparire nei display. Deve esserci poi un’applicazione sia nel PC che nel visore che riesce a gestire l’invio e la ricezione di questo segnale. Nel caso dei visori Quest, per esempio, questa applicazione può essere il Quest link, oppure Virtual Desktop. Ecco perchè non ha senso chiedere se si può utilizzare Virtual Desktop con un visore cablato, o meglio: esiste l’applicazione su SteamVR che funziona anche con i visori col cavo, ma serve solo per visualizzare in VR il proprio desktop.
La differenza tra lo streaming dei film e quello dei visori, è che per il momento quest’ultimo è utilizzabile in maniera decente solo tra le mura domestiche. E può avvenire collegando il visore al PC con un cavo USB, oppure in wireless tramite un router. Ci sono altri articoli in cui spiego come si collega un visore come il Quest 3 al PC, o come si deve settare il router per farlo funzionare bene senza fili. Qui volevo precisare che, al contrario dello streaming via internet, in una rete domestica il limite di banda dello streaming non è dato dal tipo di collegamento, ma dalle capacità di decodifica del chip del visore. Qualsiasi cavo USB compatibile o router con banda a 5ghz, infatti, ha capacità di trasmissione ampiamente sufficienti. Riprendendo l’esempio di prima, ora il punto più stretto del tubo dell’acqua si trova nel chip del visore, che riesce a decodificare un flusso video grande tra i 150 e i 500 Mbps, a seconda del codec utilizzato. Se confrontati con i 25 Mbps minimi richiesti da Netflix per usufruire di contenuti in 4K, potrebbero sembrare anche tanti. Ma il fatto che un visore ha i display molti vicino agli occhi, e quindi bisogna utilizzare risoluzioni e refresh rate molto elevati, fa sì che la compressione sia ancora visibile in determinate situazioni. Quando si utilizzano applicazioni grafiche molto complesse, che devono mostrare tantissimi dettagli a schermo, è possibile quindi osservare ancora una perdita di dettaglio, soprattutto alla distanza, e una resa dei colori non proprio uniforme, che crea un’immagine, come si dice, un po’ “impastata”. A questo inoltre va aggiunto il fatto che le operazioni di codifica, trasmissione e decodifica del flusso video hanno bisogno di tempo per essere eseguite, tempo che aumenta quindi la latenza della risposta dei display del nostro visore rispetto ai movimenti che facciamo.
Spero quindi sia chiara ora la differenza tra segnale video nativo e in streaming nei visori VR. Chiaramente per sfruttare al massimo le capacità visive di un visore, con il minimo della latenza, un collegamento video nativo è ancora necessario. Ma come abbiamo già visto, applicazioni come Virtual Desktop (QUI la guida definitiva) riescono a raggiungere risultati incredibili, a volte indistinguibili da un collegamento diretto, con il grande plus di poter utilizzare il visore senza fili. Chiaramente la cosa migliore sarebbe quella di avere visori che possono collegarsi al PC con entrambe le soluzioni, cosa che non sembra essere stata recepita ancora dai produttori. Speriamo in futuro di vedere più prodotti del genere.
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